Con la nuova legge sull’Ordinamento giudiziario si è conclusa la prima fase delle riforme della giustizia proposte dal Governo e dalla ministra Cartabia.
Seguiranno, per completare l’iter, i decreti delegati e i provvedimenti amministrativi che dovrebbero disegnare una giustizia rinnovata, più efficiente e più funzionale alle esigenze dei cittadini.
Il governo Draghi, con la sua maggioranza anomala, è riuscito dove tutti gli altri avevano fallito. Anche perché aiutato, bisogna dirlo, dal fatto che c’era una sollecitazione pressante dell’Europa collegata al PNRR.
Al di là dei condizionamenti esterni, la giustizia è un problema atavico dell’Italia, che è diventato ancora più acuto alla luce degli eventi che si sono susseguiti negli ultimi anni, dallo scandalo Palamara in poi.
I criteri in base ai quali l’Unione europea valuta i sistemi giudiziari – oltre l’indipendenza che in Italia viene rigorosamente rispettata – sono efficienza e qualità. Caratteristiche che tutti i cittadini sarebbero ben felici fossero rafforzate nel sistema giudiziario futuro.
Su questo piano le Leggi Delega – sulla riforma del processo civile e del processo penale – rappresentano un indiscutibile progresso.
Una volta a regime, si avrà uno snellimento delle procedure e una maggiore efficienza con effetti favorevoli, fra l’altro, sui tempi delle decisioni. Risultato importante perché una giustizia che arriva con anni di ritardo è una giustizia che non risponde alle attese dei cittadini.
C’è un punto, però, sul quale si sarebbe dovuto e si dovrebbe fare di più: la certezza del diritto, il valore fondamentale per misurare la qualità di un sistema giudiziario.
Il cittadino, quando avvia un procedimento, deve sapere, con ragionevole certezza, pur con tutte le particolarità della fattispecie concreta, quale è l’interpretazione della norma applicabile al suo caso specifico, onde evitare citazioni avventurose e liti temerarie. Purtroppo, invece, oggi, non è infrequente registrare indirizzi interpretativi incoerenti, con motivazioni in diritto opposte per casi eguali e per lo stesso caso nei diversi gradi di giudizio.
È un problema enorme che inflaziona il contenzioso, aumenta i costi, sia per il singolo utente che per lo Stato, e accresce la sfiducia dei cittadini nella giustizia e nelle
istituzioni.
La cosa singolare è che per risolvere il problema non bisogna inventare nulla. La soluzione esiste già ed è nella legge sull’Ordinamento giudiziario che, all’art. 65, attribuisce alla Corte di Cassazione la funzione di assicurare “l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge”. Purtroppo, questo principio non si traduce in disposizioni prescrittive. L’interpretazione della Cassazione non è vincolante per il giudice di merito, in quanto manca un raccordo fra la legge sull’Ordinamento giudiziario e le norme sulla giurisdizione.
Il legislatore negli anni più recenti si è mostrato consapevole della esigenza di rafforzare il ruolo della Corte di Cassazione e di evitare interpretazioni difformi della normativa, ma le innovazioni approvate sono state troppo timide per incidere in modo efficace sulla produzione giurisprudenziale.
Dopo vari aggiustamenti negli anni scorsi che hanno inciso solo marginalmente sulla materia, la legge delega sulla riforma della giustizia civile fa un passo in avanti importante in quanto introduce l’istituto del rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione, che potrebbe, in astratto, portare a quella certezza del diritto di cui il sistema giudiziario italiano ha assoluto bisogno.
La norma, così come impostata, è, però, troppo debole per conseguire lo scopo, in quanto il rinvio è facoltativo (a differenza del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea di cui all’art. 234 del Trattato dell’Unione che prevede l’obbligatorietà della rimessione) ed è circoscritto da una serie di condizioni che ne limiteranno fortemente l’applicazione.
Pertanto, l’innovazione va integrata e completata con una norma chiara che disponga, senza possibilità di interpretazioni alternative, un raccordo fra la giurisprudenza di legittimità e quella di merito.
La soluzione che proponiamo come Alleanza Democratica è modificare l’art. 12 delle “Disposizioni sulla legge in generale” aggiungendo un comma che richiami l’art. 65 della legge sull’Ordinamento giudiziario e dia un valore vincolante ai principi stabiliti dalla Corte di Cassazione, al fine di “assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge..
Una soluzione semplice sotto il profilo normativo, coerente con la Carta costituzionale e con i principi generali dell’Ordinamento e in linea con le richieste che vengono dall’Unione europea, che coincidono, peraltro, con l’esigenza di accrescere le garanzie per i cittadini e la fiducia nel sistema giudiziario..
La modifica dovrebbe, a nostro avviso, essere prevista da una norma ad hoc da approvare contestualmente ma separatamente dai decreti legislativi, sia perché, andando a incidere sulle fonti normative, potrebbe essere discutibile l’inserimento in un decreto delegato (senza, peraltro, che ci sia un riferimento specifico nella legge delega), sia perché si applicherebbe sia al processo civile che a quello penale.
Sarebbe un completamento delle riforme della giustizia che avrebbe un impatto radicale sulla efficienza e sulla qualità del sistema giudiziario, in quanto garantirebbe la certezza del diritto già nel giudizio di primo grado, con ricadute positive nei rapporti giuridici fra i cittadini e fra i cittadini e lo Stato e con un forte effetto deflattivo sul contenzioso.