La elezione di Elly Schlein significa, per il Partito Democratico, una rottura radicale con il passato che, mai come in questa fase, era una assoluta necessità.
Il PD era uscito dalle elezioni del 25 settembre in una profonda crisi, non tanto per la sconfitta, quanto per le circostanze nelle quali era maturata. Lo sbandamento seguito alla crisi del governo Draghi e alla rottura con il Movimento 5 Stelle aveva lasciato il partito in uno stato di grande incertezza, senza un programma, in un contesto di assoluto isolamento che non poteva essere colmato da uno sfuggente richiamo a una indefinita “agenda Draghi”, di cui nessuno ha compreso il vero significato.
In conseguenza, nei mesi successivi, il partito non è stato in grado di avviare, contro il governo più antisociale della storia della Repubblica, quella fase di dura opposizione che sarebbe stata doverosa, limitandosi a invocare una generica lotta al fascismo che, se non collegata a fatti, situazioni e azioni che impattino direttamente sulla vita dei cittadini, non appassiona gli italiani ed è improduttiva sia sul piano delle idee che sul piano dei voti.
In questa situazione Elly Schlein era la scelta migliore in quanto è un mix di innovazione e di tradizione che è proprio quello che serve in questo momento per riconquistare il popolo progressista.
La neo-segretaria è, nel contempo, una persona con un profilo cosmopolita – ebrea, attivista delle campagne presidenziali di Obama, doppia o tripla cittadinanza, famiglia di cattedratici – ma è anche, da tantissimi anni, vicina all’area progressista e al Partito Democratico di cui è stata europarlamentare e che lasciò per una insanabile incompatibilità con la linea Renzi.
Inoltre, l’ascesa alla segreteria avviene nelle condizioni migliori. Ha vinto le primarie – che hanno fatto registrare un’ampia partecipazione, soprattutto se si considera il rapporto con il voto delle politiche – dopo essere stata sconfitta nei circoli. Il che significa che l’elezione è il derivato di un rapporto diretto con gli elettori e che nessun capocorrente può vantare crediti nei suoi confronti.
Ha, in conseguenza, una legittimazione popolare che le consente di emarginare i gruppi di potere interni, cosa che non potevano fare né Enrico Letta, né Nicola Zingaretti.
Per di più l’entusiasmo che ha accompagnato la sua vittoria si è tradotto subito in una inversione di tendenza nei sondaggi che hanno riportato il PD al suo ruolo di capofila dell’opposizione.
Il difficile, però, viene adesso. Per riconquistare il popolo del centro sinistra, rifugiatosi nell’astensione o in improbabili, raffazzonate alternative, Elly Schlein deve intervenire in modo incisivo e senza esitazioni sia sui contenuti, sia sulla struttura organizzativa interna, sia sulla configurazione dei rapporti con le altre formazioni politiche e con la società civile, a partire dai tanti gruppi, movimenti, associazioni che sono vicini al PD, ma vogliono rimanere distinti da un partito che finora ha sempre privilegiato la conta delle tessere rispetto al confronto sulle idee.
Alleanza Democratica che è da sempre vicina al Partito Democratico ha già avanzato delle proposte che, riteniamo, siano in sintonia con gli orientamenti della nuova segreteria.
Le riassumiamo in breve:
Primo. Porre al centro della azione il mondo del lavoro: l’occupazione, i diritti dei lavoratori, le condizioni – ambientali, sanitarie e di sicurezza – del lavoro.
Il ripristino dell’art. 18 è un tema dirimente anche per prendere definitivamente le distanze da un vecchio segretario che si è rivelato “invidioso del costo del lavoro in Arabia Saudita”. Sul punto le dichiarazioni non sono sufficienti. Serve una proposta di legge ad hoc e una azione decisa in Parlamento e nel Paese.
Ma, al di là dei singoli punti, la materia impone un impegno strutturale. Il PD è da sempre, salvo la parentesi renziana, il partito della Costituzione. E la Carta costituzionale dedica al lavoro, due articoli, collocati nella prima parte, quella che non consente revisione costituzionale. L’articolo 4 afferma un principio, “ La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo tale diritto.” del quale è difficile negare il carattere prescrittivo, al quale, però, non è stata mai data attuazione né dai governi di centrodestra che, ovviamente, hanno sempre avuto altre priorità, ma nemmeno dai governi di centro sinistra.
È un principio la cui attuazione avrebbe un impatto enorme, non solo sul piano sociale ma anche sulla politica economica. L’Italia ha bisogno di un nuovo modello di sviluppo che faccia della politica per l’occupazione il motore del rilancio dell’economia e di una crescita strutturale che vada al di là del PNRR e delle congiunture economiche transeunti.
E ne ha bisogno soprattutto ora, in presenza di un governo che ha come obiettivo la guerra ai poveri e l’aumento delle distanze sociali per mezzo di una politica fiscale che favorisce le fasce alte e quelle più inclini all’evasione. Una politica che, oltre all’impatto negativo sul piano sociale, avrà, anche l’effetto di affossare quella fase espansiva seguita alla recessione collegata alla pandemia e di riportare l’economia agli anni nei quali il nostro Paese era il fanalino di coda per crescita in Europa.
Secondo. Il progetto di “autonomia differenziata” è temporaneamente in stand-by, ma è sempre sul tavolo con tutto il suo carico di minacce all’unità nazionale. Serve una azione forte per fermarlo. Una azione sulla quale costituire un blocco civile, sociale e territoriale che tenga insieme partiti, sindacati, enti istituzionali, movimenti di base, intellettuali, imprenditori illuminati.
Il centro destra ha un’ampia maggioranza in Parlamento. Ma Israele ha dimostrato che anche una minoranza può fermare una riforma iniqua se è consapevole di essere nel giusto ed è capace di portare le masse alla disubbidienza civile e alle manifestazioni di piazza.
Il PD ha l’organizzazione, il radicamento territoriale, la presenza diffusa nella società e la tradizione per fermare una riforma che scaverebbe un fossato incolmabile fra le diverse aree del Paese.
Serve una volontà politica forte e univoca che possa fare da catalizzatore di tutte le forze migliori della società, dell’economia, dell’accademia, del mondo del lavoro, delle professioni, dello stato profondo. E che stronchi sul nascere eventuali tentativi di appeasement o di mediazione, di cui, purtroppo, già appare qualche indizio, in cui la voglia di un nuovo protagonismo prevale sulla coerenza e sulla responsabilità.
Bisogna comprendere che quella sulla Autonomia differenziata non è una battaglia politica ma una battaglia esistenziale per il Paese, intesa ad evitare una deriva di carattere jugoslavo. E che il progetto, almeno per come è stato disegnato da Calderoli, non può essere modificato. Deve essere cancellato.
Terzo. La premessa politica per avviare il nuovo corso è un confronto aperto: fra direzione nazionale e circoli, fra partito e società civile, con tutti gli altri partiti e movimenti del fronte progressista, con i sindacati, con le associazioni. Un confronto sui programmi senza il retropensiero che chi ha più tessere decide per tutti.
In tale contesto il PD deve prendere atto che in una società parcellizzata come quella attuale è difficile costruire un soggetto politico che rappresenti tutti. È più facile, almeno in una prima fase, lasciare spazio a partiti alleati e associazioni minori che possano dare un apporto in termini di idee e di coinvolgimento di ceti sociali e di categorie che un partito di massa non riesce a raggiungere e a rappresentare.
È necessaria, quindi, una struttura organizzativa che consenta la circolazione delle idee dal basso verso l’alto, allargando il dibattito anche ai circoli più periferici e aperta agli esterni sulla falsariga dei grandi partiti della prima repubblica che, a cominciare dalla Democrazia Cristiana, trassero apporti qualitativamente significativi dalla partecipazione di autorevoli esterni ed esponenti della società civile che non volevano essere coinvolti nella vita di partito.
Ed è necessario che il rapporto con gli elettori non si fermi alla elezione del segretario. Dalle primarie per il segretario bisogna passare alle primarie sui programmi, sui progetti e sulle iniziative legislative che hanno un impatto rilevante sulla vita dei cittadini.
Sarebbe un grande passo in avanti sulla via della partecipazione non solo per il Partito Democratico ma per la democrazia italiana.
Sappiamo bene che ci sono altri temi importanti a cui il partito deve dare risposte, per alcuni dei quali, come la giustizia, Alleanza Democratica ha già proposto contributi innovativi e sintonici con l’impostazione ideale di una alleanza progressista.
Ma intervenire sulle materie che abbiamo evidenziato è, a nostro avviso, assolutamente prioritario e urgente per dare concretezza al nuovo corso che si è aperto con la segreteria Schlein.
Ovviamente, è opportuno che accanto al discorso programmatico proceda in parallelo anche un percorso elettorale. Sarebbe importante fare le prove di una alleanza estesa a tutti i soggetti che possano dare un apporto significativo fin dalle prossime elezioni amministrative per costruire, anche dal basso, la nuova coalizione di centrosinistra che dovrà contendere alle destre la guida del Paese.