Alle prossime elezioni per il Parlamento europeo dell’8 e 9 giugno Alleanza Democratica invita a votare Partito Democratico.
Questa dichiarazione di voto non significa che sono superate le perplessità sulla lentezza del rinnovamento dopo l’elezione di Elly Schlein. La nuova segreteria si è mossa bene sul piano dei principi riaffermando quelle posizioni di difesa intransigente dei diritti e di tutela delle fasce deboli, che sono il patrimonio culturale e politico del partito e che, per lungo tempo, erano state abbandonate allontanando la base tradizionale dell’elettorato progressista.
Si è mossa meno bene nella costruzione di una piattaforma politica organica coerente con quei principi.
Il Partito Democratico ante Schlein aveva abbandonato la battaglia per i diritti sociali, rinunciando a un legame di antica data con i lavoratori e con i sindacati e ripiegando su una difesa dei diritti civili che ne facevano una specie di duplicato del partito radicale.
Oggi, si registra una drastica inversione di tendenza. La firma da parte della segretaria dei referendum sulla abrogazione della legge che ha cancellato l’art. 18 e di altre norme che hanno ridotto le tutele dei lavoratori è, al di là dei risultati concreti, un passo simbolico importantissimo sulla via del ripristino di quei legami e sulla rottura con un passato imbarazzante.
Accanto a questo gesto, ci sono le battaglie per il salario minimo, per maggiori fondi alla sanità pubblica, contro l’autonomia differenziata che distruggerebbe, se attuata, l’unità nazionale e contro il premierato che sostituirebbe la democrazia con la democratura, per ricordare solo quelle più significative. Sono, tutte, iniziative di grande importanza sul piano politico e sociale.
Anche se continua a mancare un quadro programmatico complessivo in cui inserire le singole iniziative, le posizioni evidenziate sono più che sufficienti per motivare il voto a un partito che è, di nuovo, un asse fondamentale dello schieramento progressista.
Anche perché, anche sul piano dei valori europei, il partito democratico ha posizioni chiare, coerenti con gli indirizzi e i valori tradizionali che risalgono ad Alcide De Gasperi e ai padri fondatori dell’Unione europea.
Valori che devono essere riaffermati in presenza di forze che continuano a fare dell’antieuropeismo una bandiera. Salvini è il più esplicito quando dice “Più Italia meno Europa”, uno slogan che non ha alcun senso se non di raccattare qualche voto nelle aree più retrive e meno informate della società. Ma è tutta la maggioranza che è ostile a una maggiore integrazione europea e la vede come un ostacolo alle politiche nazionali.
Il nostro problema, oggi, è che, al contrario, ci sono troppi settori fondamentali in cui l’Europa non ha alcun potere e si limita a una faticosa mediazione fra i ventisette paesi. Primo fra tutti la politica estera e di difesa che sono diventate un tema di grande impatto mediatico dopo l’invasione dell’Ucraina e la crisi di Gaza.
Oggi più che mai è necessario rafforzare le forze convintamente europeiste. Solo un’Europa forte che parli con una sola voce potrà competere sulla scena mondiale e difendere gli interessi degli stati aderenti. La situazione, peraltro, è molto più grave del passato. Il nuovo corso della Russia ha mostrato la debolezza dei paesi europei che dipendono, in modo patologico dal sostegno e dalle incertezze degli Stati Uniti.
L’Italia ha avuto sempre un peso significativo nei momenti cruciali della politica europea. Ricordiamo la presidenza della Commissione di Romano Prodi o la presidenza della BCE di Mario Draghi o, anche, il ruolo svolto dallo stesso Draghi nel 2022, nel Consiglio dei Ministri dell’Unione nella qualità di Premier italiano.
Ovviamente, per poter incidere bisogna essere in sintonia con i principi e i valori dell’Europa. Chi non condivide quei principi deve accontentarsi del ruolo di minoranza, acquiescente o rissosa, come è il caso dell’Ungheria o della Slovacchia.
Questo governo, se si eccettua Forza Italia che, però, ha un peso limitato nella coalizione, è ai margini delle dinamiche europee.
Il patto di stabilità è stato approvato senza tenere conto delle nostre proposte. Per i migranti le esigenze dell’Italia vengono ignorate e i primi ad opporsi alle istanze di ricollocamento sono proprio gli amici della Meloni.
In Europa non si va molto lontano quando si scelgono come compagni di strada Vox, Kaczynski e Orban, oppure si blocca la riforma del Mes contravvenendo a un impegno già sottoscritto dal governo italiano, o, ancora, si mette in discussione il primato del diritto comunitario per difendere le rendite di posizione degli amici balneari, salvo essere smentiti, in casa, dal Consiglio di Stato.
In questo contesto un Partito Democratico sostenuto da un consenso più ampio sarebbe un punto di riferimento per il fronte progressista europeo e, sul piano interno, comporterebbe un rafforzamento della segreteria Schlein. Premessa indispensabile per costruire un fronte progressista che metta un argine a una destra che – prigioniera di ideologie superate e di corporazioni egoiste e indifferenti al bene comune – diventa sempre più pericolosa per l’equilibrio delle istituzioni democratiche, per la crescita economica e per la coesione sociale e territoriale dell’Italia.